Chissà’ perché il binomio “giallo-estate” e’ così calzante? Sarà perché i gialli portano alla luce ciò che di solito rimane nell’ombra o sotto la sabbia scottante? Prima di leggere “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie, pubblicato per la prima volta a puntate in Inghilterra nel 1939 e in Italia nel 1946, terzo romanzo scelto dal gruppo lettura in biblioteca, in questo inizio d’estate torrida e “carontiana”, mi sono imbattuta per caso in un articolo di alcuni ricercatori universitari irlandesi che aiutano a capire il colpevole prima di trovarsi nella condizione “graticola” o “spinosa“ di divorare le pagine per terminarle. L’articolo suggerisce che il killer sarà uomo se ci si sposta spesso in barca o in aereo, se la vittima e’ stata strangolata oppure se per risolvere il caso bisogna affidarsi al ragionamento logico mentre sarà donna se i mezzi usati sono terrestri, se viene utilizzato del veleno, se l’ambiente e’ rustico o se si seguono indizi lasciati tra gli oggetti domestici.
Bhé io… devo ammetterlo nonostante questi suggerimenti e un’esperienza pluridecennale insieme al detective fobico Monk e l’ispettore distratto e trasandato Colombo, sono stata spiazzata dal genio di Agatha Mary Clarissa Miller, la donna che a detta di Winston Churchill, dopo Lucrezia Borgia, è vissuta più a lungo a contatto col crimine. Ho immaginato persino un colpevole nell’isola “purgatorio” simbolo di morte reificata che con ancestrali e crudeli danze, falcia i piccoli ed insignificanti “indiani”.
Disorientati e confusi sono stati anche gli altri lettori del gruppo… ironia della sorte inizialmente 10! Dieci come le persone che non si conoscono fra loro invitate da un misterioso Signor Owen, a trascorrere l’estate in una villa di Nigger Island, non lontana dalle coste del Devon in Inghilterra. Qui trovano il maggiordomo e la cuoca ma non il padrone di casa che manca per motivi poco chiari. Una voce registrata su un disco accusa tutti di essere degli assassini impuniti. Intrappolate sull’isola, le dieci persone iniziano ad essere uccise a una a una, seguendo le rime di un’antica filastrocca “dieci piccoli negretti” posta sul camino delle camere.
A onor del vero qualcuno del nostro gruppo ha capito quasi subito il colpevole dai pochi indizi magistralmente lasciati dalla scrittrice ma è stata costretta a sbirciare, saltando la dittatura delle pagine frapposte, l’esattezza delle proprie intuizioni, nella confessione finale dell’assassino affidata al mare. “Dieci piccoli indiani” non è solo un giallo. L’onnipresente senso di colpevolezza, la lucida pazzia del colpevole, l’assenza di un investigatore nel senso più comune del termine, la mattanza da film horror, l’isolamento dei protagonisti, la favola fatale, la litania che non è affatto una poesia idiota come dice uno dei protagonisti, ne fanno un thriller psicologico, assurdo teatrale e claustrofobico. “Dieci piccoli indiani” è un gioco di società, una tragedia senza pace ne possibilità di redenzione. Il colpevole non lo dico ma non è il classico maggiordomo…non perché non abbia colpe ma …perché è uno dei primi a morire! Altri suggerimenti? Beh i latini direbbero: NOMEN OMEN ossia il destino nel nome!