E’ l’era della crisi, una crisi che si allarga al di fuori e dentro di noi. Il narratore, che sarebbe lo stesso Giordano, ce lo fa capire costantemente, ad ogni pagina del suo “romanzo” (memoir? Cronaca? Articolo giornalistico long read?), conducendoci in un labirinto di sconforto di fronte a una vita, quella degli umani e della terra, che va sempre più veloce e in rovina. La vena scientifica di Giordano è evidentissima, le crisi delle attualità (ci sono tutte) sono messe sul piatto senza troppi complimenti. Ma, forse, è qua che Giordano ci ha resi in parte perplessi: non c’è approfondimento, né di eventi né di tutti i personaggi che incontra lungo il cammino, soltanto un resoconto, spesso scialbo, spesso confuso, scientifico, appunto. Il narratore protagonista non si sbilancia mai, è spesso distaccato e non riesce a trasmettere appieno i propri sentimenti al lettore. Bisogna, dunque, cercarli tra le righe, tra il non detto.
Un tema cardine è quello della passività di fronte alla marea degli eventi. “E’ come se il protagonista subisse la vita” ha commentato qualcuno. E, infatti, anche se egli cerca di correre dietro a qualsiasi cosa pur di coprire la crisi interiore che lo attanaglia, come se occuparsi di altri problemi espiasse le colpe di trascurare i propri.
C’è chi, tra di noi, in questa rassegna delle crisi di una civiltà intera, non ci ha trovato nulla di nuovo. Altri, invece, ne hanno apprezzato l’intento sommesso di scrivere, senza troppi commenti, senza troppo pathos, “di ogni cosa che mi ha fatto piangere”. Parole di Paolo Giordano.